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Decalogo del Garante sull’uso dell’intelligenza artificiale nel settore sanitario

Il Garante ha varato un decalogo per la realizzazione di servizi sanitari a livello nazionale attraverso sistemi di intelligenza artificiale (IA).

In base alle indicazioni del Garante, il paziente deve avere il diritto di conoscere, anche attraverso campagne di comunicazione, se esistono e quali sono i processi decisionali (ad esempio, in ambito clinico o di politica sanitaria) basati su trattamenti automatizzati effettuati attraverso strumenti di IA e di ricevere informazioni chiare sulla logica utilizzata per arrivare a quelle decisioni.

Il processo decisionale dovrà prevedere una supervisione umana che consenta al personale sanitario di controllare, validare o smentire l’elaborazione effettuata dagli strumenti di IA. Il Garante invita ad utilizzare sistemi di IA affidabili che riducano gli errori dovuti a cause tecnologiche o umane e ne verifichino periodicamente l’efficacia, mettendo in atto misure tecniche e organizzative adeguate. Questo, anche allo scopo di mitigare potenziali effetti discriminatori che un trattamento di dati inesatti o incompleti potrebbe comportare sulla salute della persona. Un esempio è il caso americano riguardante un sistema di IA utilizzato per stimare il rischio sanitario di oltre 200 milioni di americani. Gli algoritmi tendevano ad assegnare un livello di rischio inferiore ai pazienti afroamericani a parità di condizioni di salute, a causa della metrica utilizzata, basata sulla spesa sanitaria media individuale che risultava meno elevata per la popolazione afroamericana, con la conseguenza di negare a quest’ultima l’accesso a cure adeguate. Il dato non aggiornato o inesatto potrebbe, quindi, influenzare anche l’efficacia e la correttezza dei servizi che i sistemi di IA intendono realizzare.

Particolare attenzione è stata posta all’idoneità della base giuridica per l’uso dell’intelligenza artificiale. Il trattamento di dati sulla salute attraverso tecniche di IA, effettuato per motivi di interesse pubblico in ambito sanitario, dovrà essere previsto da uno specifico quadro normativo, che individui misure adeguate a tutela dei diritti, delle libertà e dei legittimi interessi degli interessati.

Nel rispetto del quadro normativo di settore, il Garante ha sottolineato la necessità che, prima di effettuare trattamenti di dati sulla salute mediante sistemi nazionali di IA, sia svolto un impact assessment per individuare le misure idonee a tutelare i diritti e le libertà dei pazienti e garantire il rispetto dei principi del GDPR. Un sistema centralizzato nazionale che utilizzi l’IA determina, infatti, un trattamento sistematico su larga scala di dati sanitari che rientra tra quelli ad “alto rischio”.

Nella descrizione dei trattamenti è anche necessario che siano puntualmente indicate le logiche algoritmiche utilizzate al fine di generare i dati e i servizi, le metriche impiegate per addestrare il modello, i controlli svolti per verificare la presenza di eventuali BIAS e la possibilità di una loro correzione.

 

Il dipendente ha diritto di accedere ai dati di geolocalizzazione

Il Garante, con proprio provvedimento del 14 settembre 2023, ha sanzionato per 20.000,00 euro la società Shardana Working Soc. Coop. a r.l. incaricata della lettura dei contatori di gas, luce e acqua, per non aver dato idoneo riscontro alle istanze di accesso ai dati di tre dipendenti. I tre lavoratori, per verificare la correttezza della propria busta paga, avevano chiesto all’azienda di conoscere le informazioni utilizzate per elaborare i rimborsi chilometrici e la retribuzione mensile oraria, nonché la procedura per stabilire il compenso dovuto. In particolare, avevano chiesto di poter conoscere i dati raccolti attraverso lo smartphone fornito dalla società sul quale era stato istallato un sistema di geolocalizzazione che permetteva agli operatori di individuare il tragitto da effettuare per raggiungere i contatori. Non avendo ricevuto dall’allora datore di lavoro una risposta soddisfacente si erano rivolti al Garante con un reclamo.

È così stato accerto che la società, titolare del trattamento, non aveva fornito un riscontro idoneo a quanto richiesto dai reclamanti, nonostante la chiarezza e l’analiticità delle istanze, tra l’altro non comunicando loro i dati trattati attraverso il GPS. La società, infatti, si era limitata ad indicare le modalità e gli scopi per i quali venivano trattati. Una condotta risultata illecita in base ai principi della normativa di data protection. Dalla rilevazione del GPS, infatti, deriva indirettamente la geolocalizzazione dei dipendenti e, di conseguenza, un trattamento di dati personali, quantomeno nel momento della lettura dei contatori. Il Garante ha pertanto ordinato alla società di fornire ai reclamanti i dati relativi alle specifiche rilevazioni/coordinate geografiche effettuate con il GPS dello smartphone e tutte le informazioni ricollegate al trattamento richieste.

Il Garante ha precisato infine che la società, anche qualora non avesse ritenuto di poter dare pieno riscontro alle richieste dei dipendenti, avrebbe dovuto indicare almeno i motivi specifici per i quali non poteva soddisfare le istanze di accesso, rammentando il diritto dell’interessato di presentare reclamo al Garante o ricorso giurisdizionale.

 

Rivenditore Vodafone Italia spa multato per intestazione di SIM all’insaputa dell’utente

Il provvedimento del 14 settembre 2023 è scaturito da una denuncia di un utente che, ricevendo due e-mail e un SMS di notifica da Vodafone, è venuto a conoscenza che, a sua insaputa, erano state attivate a suo nome due SIM card ricaricabili presso un rivenditore. La vicenda nasce nella provincia di Bergamo e vede protagonista un utente che dopo aver denunciato l’accaduto all’autorità giudiziaria, segnala il fatto al Garante che sanziona la società GFB One s.r.l. della rete di vendita della compagnia telefonica Vodafone, cui fa capo il rivenditore, con una multa di 90.000,00 euro per trattamento illecito di dati personali.

L’interessato, dopo aver richiesto il blocco delle SIM a Vodafone ed effettuato alcune verifiche, aveva ricostruito che le schede erano state attivate nel napoletano utilizzando una fotocopia poco leggibile della sua carta di identità. Aveva scoperto inoltre che, per gli addebiti delle due utenze, era stato inserito un IBAN inesistente, solo formalmente corretto, riconducibile ad una banca vicina alla propria abitazione.

Nel corso dell’attività istruttoria il Garante ha rilevato diverse violazioni. Innanzitutto, il rivenditore non aveva provveduto ad identificare il cliente tramite un documento di identità in originale – procedura correttamente prevista dal protocollo della compagnia telefonica – né aveva svolto ulteriori verifiche sulla liceità dei dati acquisiti. La società di appartenenza del rivenditore, inoltre, non aveva fornito al Garante le informazioni e i documenti richiesti nel corso dell’istruttoria né aveva dato spiegazioni all’interessato su come avesse ottenuto la fotocopia della carta di identità. Il Garante, riconosciuta la gravità e il carattere doloso delle violazioni, ha ritenuto la condotta riconducibile al fenomeno dell’attivazione illecita di schede telefoniche, che possono sfociare anche in reati di natura associativa, ed ha pertanto irrogato alla società GFB One s.r.l. una multa di di 90.000,00 euro. Nessuna violazione invece è emersa nei confronti di Vodafone.

 

 

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